mercoledì 19 giugno 2013

FELICITA' INTERNA LORDA

Siamo abituati a valutare lo sviluppo di un paese in base al PIL, il prodotto interno lordo, e in base al PIL procapite, vale a dire il Pil diviso il numero di abitanti. Il problema è che se tu sei molto ricco, e io molto povero, facendo questo conto appare come se stessimo tutti e due bene, almeno economicamente. Va da sé che non è vero, un po' come i due polli di Trilussa che penso la conosciate tutti e non sto qui a raccontarvela, al limite googolate.
Visto che il Pil non è abbastanza esaustivo, qualcuno si è inventato il FIL, che è il tasso di felicità interna lorda che misura il benessere di un popolo. I criteri presi in considerazione per determinare il FIL sono la qualità dell'aria, la salute dei cittadini, l'istruzione, la ricchezza dei rapporti sociali. Nulla a che vedere con la ricchezza economica.
Un piccolo e strano paese asiatico, il Buthan, ha deciso di non procedere sulla strada del benessere economico – e cioè di inseguire la'umento del PIL – ma bensì di cercare di aumentare il FIL. Il risultato di questa strana politica avviata dal Re Drago (così i Buthanesi chiamano il loro Re) Jigme Khesar Namgyal Wangchuck (foto) è che il Buthan, pure essendo un paese molto povero in termini di PIL, è invece uno dei paesi più felici al mondo.
E' difficile fare paragoni tra il Buthan e altri paesi. Basti dire che questo piccolo stato ha poco più di 700mila abitanti, poco più della Provincia di Alessandria.
Però questo strano esperimento del Re Drago sta funzionando, e i Buthanesi seppur poveri (sono praticamente tutti agricoltori) sono felici e contenti.
Per preservare la felicità del proprio paese, e le sue tradizioni, il turismo non è visto di buon occhio dal Re Drago: ogni anno vengono concessi solo 6000 visti per turismo.
Tutto bene quindi in Buthan? Forse sì, forse no. Fa molto discutere la politica di preservazione dell'identità nazionale che ha portato negli anni novanta all'espulsione di migliaia di bhutanesi di origine nepalese e di religione induista che vivevano soprattutto nel sud del paese. Questi sono stati costretti a espatriare e a rifugiarsi in una decina di campi profughi del Nepal. Gli espulsi, che ovviamente non hanno gradito il trattamento, si sono uniti nel Partito comunista del Bhutan (marxista-leninista-maoista) che ha un programma rivoluzionario il cui scopo è rovesciare il Re Drafo e creare una repubblica popolare.
Il partito ha creato un’ala militare, la Bhutan Tiger Force, il cui scopo è quello di inviare uomini clandestinamente nel territorio del Paese a fare attentati.
Insomma, i Bhutanesi sono davvero poveri e contenti, oppure è il Re Drago che gli impone di esserlo?
Intanto, l'OCSE (organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha stilato la classifica 2013 dei paesi più felici al mondo. Al primo posto c'è l'Australia, seguita da Svezia, Canada e Norvegia. L'Italia tra i primi 10 non c'è, e neppure il Bhuthan.

sabato 15 giugno 2013

A PROPOSITO DELL'INTEGRAZIONE A NOVI

Capita che parti convinto di dover incontrare un Imam e parlare di una moschea, e poi ti ritrovi con una signora a parlare di un centro culturale. Capita che parti per cercare di capire perché la comunità islamica vuole fare una moschea, e scopri che non gli passa neanche per la mente di farla, la moschea.
Devi ritarare l'intervista, perché quello che hai letto sui giornali è sbagliato. Forse li hai letti troppo superficialmente, e non hai capito di cosa si parla. O forse ad essere superficiale è stato il giornalista.
Sono le 5 di un pomeriggio qualsiasi, a Novi Ligure. In via Girardengo incontro Rachida Hasbane, Hassan Hannimi e Hassan Farahat. Davanti a un caffè al Bar Teatro inizia una lunga e inaspettata chiacchierata.
Ma quale Moschea, ma quale Imam...” ci dice subito Rachida. “A Novi esiste da oltre 20 anni un luogo dove le persone di fede musulmana si incontrano. Prima in via Verdi, ora in via Cavour. Non è una moschea, ma un centro culturale. Ci incontriamo, organizziamo corsi di italiano per stranieri e corsi di arabo per italiani. Preghiamo anche, perchè no? Ma un luogo dove si prega non è una moschea.”
“Così come una persona che guida la preghiera non è un Imam” mi spiega Hannimi “L'Imam è una persona che si occupa di una moschea, e lo fa a tempo pieno. Qui a Novi ci sono solo persone, come me e Farahat, che hanno studiato un po' di più il Corano e guidano i momenti di preghiera. Ma non siamo Imam, e non li vogliamo essere.”
Ma allora, che cosa volete fare?“Quello che abbiamo sempre fatto, ma in un posto migliore. Un luogo che ci permetta di coinvolgere tante persone, tanti novesi, nelle nostre attività. Il nostro centro di cultura islamico è stato il primo della provincia, e uno dei primi della Regione Piemonte. A Novi ci sono oltre 500 persone stabilmente residenti di religione musulmana, provenienti dall'africa, dal Mahgreb, ma anche dai paesi dell'est europa e da tutto il mondo. Vogliamo costruire un luogo aperto a tutti, italiani e stranieri, che faccia cultura e aggregazione. Un luogo dove le mamme, italiane e straniere, possono portare i loro bambini. Insomma, uno spazio a disposizione della Città.”
Le polemiche in Città però dicono altro: il comune vi costruisce la moschea a carico dei cittadini.
“Non è vero: la religione musulmana, innanzitutto, non è prevista nel concordato e quindi in Italia non è riconosciuta. Quindi il Comune, anche volendo, non potrebbe riservarci trattamenti di favore. In realtà, abbiamo chiesto al comune di venderci un terreno in cui vorremmo costruire il centro culturale.”
Con che soldi? “Con i nostri, quali altri? Non sarà facile, anche perché il momento è gravissimo dal punto di vista economico, e molti di noi hanno perso il lavoro. Non sarà facile trovare le risorse per acquistare il terreno, e chi sa quando riusciremo ad avere i fondi per costruire. Facciamo un passo per volta, e solo Dio sa se riusciremo ad arrivare in fondo.”
Rachida è un vulcano, ma Hassan Hannimi la interrompe
“A Genova il centro è stato costruito economico con il contributo di tanti genovesi – che si dice non siano particolarmente prodighi – grazie sopratutto all'intervento di tanti parroci, che dal pulpito delle loro chiese hanno spiegato ai fedeli cosa stavano facendo e hanno chiesto di dare una mano. Forse, anche a Novi potrà succedere una simile mobilitazione popolare.”
“Non è solo la religione la motivazione che ci spinge verso la direzione del centro culturale. Ad esempio, anche lo sport è una parte importante. Alcuni anni fa
– spiega Farahat – abbiamo messo su una squadra di calcio, la AC Marocco, che diede ottimi risultati non solo sportivi. Io ero l'allenatore, Hannimi il massaggiatore...”
Ma il rapporto con il Comune c'è... “Con l'assessore Broda c'è un rapporto davvero fattivo. E' una persona che cerca di risolvere i problemi, non di aggirarli. L'anno scorso, per il Ramadan, abbiamo avuto alcuni problemi: le persone che volevano uno spazio dove pregare erano tante, e la nostra sede in via Cavour troppo piccola. E' stato il comune ad aiutarci, affittandoci uno spazio in cui potevano starci tutte le persone che a Novi si riconoscono nella fede musulmana. E non sono solo arabi: ci sono anche tanti Novesi, che magari hanno sposato una ragazza marocchina e oggi hanno abbracciato la nostra fede...”
Le polemiche però ci sono: Novi è una città razzista? “Assolutamente no. Non giudicate da chi grida più forte. Ad esempio, abbiamo una collaborazione con tanti parroci della Città. Basta entrare in un oratorio, e vedere quanti ragazzi che si chiamano Mohammed o Hassan ci sono, a giocare a calcio con il prete!
Vogliamo ringraziare in particolare Don Giuseppe: a casa sua – nel senso della sua parrocchia – abbiamo organizzato un corso di arabo per bambini. Non solo figli di arabi, ma anche di italiani.”
D'accordo, se non è integrazione questa... Ma la comunità musulmana di Novi è una comunità stabile o in evoluzione? “Abbastanza stabile: siamo tutte persone che abitano a Novi da tempo, i nostri figli sono nati qui e parlano italiano, non arabo. Molti – circa la metà - hanno preso la cittadinanza italiana. Anche noi, addirittura anche quando parliamo di religione, se vogliamo farci capire bene dai nostri figli spesso ricorriamo all'italiano. Ma ci piace pensare – e provare - di poter passare la nostra cultura ai nostri figli...”
Avrei voluto indagare sul ruolo della donna nella comunità musulmana. Ma il fatto che sia una donna marocchina l'interlocutrice principale di questo progetto, la dice più lunga di ogni parola sul ruole che le donne arabe hanno all'interno della comunità. E' Rachida, che fa la mediatrice culturale, che guida la discussione e che mette anima e corpo nel centro culturale islamico. “Forse una volta, ai tempi dei nostri nonni, erano gli uomini a prevalere” conclude sorridendo Hannimi “ma oggi, a casa nostra, sono le mogli a comandare...”
Anche a casa degli italiani, non temete...