venerdì 27 novembre 2015

Perchè mi sono sono convertito al pastafarianesimo?

Eccomi con il mio simbolo di fede
Ho deciso che d'ora in avanti, a chi mi chiederà in cosa credo, risponderò che sono pastafariano.
Dirò che noi pastafariani crediamo che l'universo è stato creato da un mostro di pasta al sugo ubriaca, e rivendichiamo con forza il diritto di credere in questa cosa strana.
Al mondo esistono numerosissime cosmogonie: c'è chi ha creduto nell'olimpo, chi crede che l'universo sia stato creato in sette giorni da un certo dio, chi crede che sia stato generato da un uovo cosmico sospeso nella non-esistenza (induismo).
Ognuno può credere in quel che vuole, ma il vero problema è che una caratteristica comune di tutte le religioni (pastafarianesimo escluso) è di ritenersi esatta, e le altre sbagliate. Ognuno crede che il proprio Dio sia l'unico vero Dio, e che tutti gli altri siano infedeli. E giù a massacrarsi di botte.
Io fino a ieri ero agnostico, non avevo una fede e riconoscevo il diritto a chiunque di credere nell'amico immaginario che preferisce, senza però rompere le scatole agli altri. Ora, visto il caos che sta succedendo per il mondo per via del fatto che stiamo ricadendo in secoli bui di integralismo, credo che occorra fare qualcosa di più. Per questo mi sono convinto che sia necessario convertirsi al pastafarianesimo, e cerco di fare in modo di convincere anche voi.
Il pastafarianesimo è una roba seria, anche se non sembra.
E' stato creato nel 2005 da Bobby Hederson, un fisico all'Oregon State University, per protestare contro la decisione del consiglio per l'istruzione del Kansas di insegnare il creazionismo nei corsi di scienze come un'alternativa alla teoria dell'evoluzione (cioè, si poteva scegliere di studiare, in scienze, la teoria dell'evoluzione di Darwin oppure la storiella di Adamo e Eva). In una lettera aperta inviata al Kansas State Board of Education, Henderson professò di credere in un creatore sovrannaturale molto somigliante a degli spaghetti con le polpette. Henderson successivamente chiamò per questo la teoria della creazione "Pastafariana", rivendicando uguali ore di insegnamento insieme alle teorie del disegno intelligente e dell'evoluzione. Henderson spiegò che poiché il movimento a sostegno del disegno intelligente utilizza riferimenti ambigui a un non meglio precisato "progettista intelligente", ogni entità concepibile poteva rivestire questo ruolo, compreso il Prodigioso spaghetto volante (in inglese Flying Spaghetti Monster). Secondo molti atei ed agnostici, il pastafarianesimo rappresenterebbe una versione moderna della Teiera di Russell e dell'Invisibile Unicorno Rosa. (fonte wikipedia)
Questa provocazione di Henderson ha subito preso piede. Quindi il ragazzo si è dato da fare e ha creato tutto un sistema pastafariano, simile alle religioni tradizionali.
Nella nuova religione non ci sono comandamenti, ma bensì otto “preferirei che tu evitassi” dettati direttamente dal prodigioso spaghetto volante. Il primo, molto significativo, dice che occorre evitare di vantarsi della propria religione, e che se qualcuno non crede in lui, lo spaghetto volante se ne frega alla grande.
La patente di un pastafariano
Avete capito già che il pastafarianesimo è una geniale provocazione. Prendete il fatto dello scolapasta. Visto che alcune persone hanno ottenuto il diritto di posare per foto ufficiali con il volto coperto per motivi religiosi (cosa che io considero non solo stupida, ma anche pericolosa) i pastafariani hanno cominciato a rompere le scatole pretendendo di poter mettere la foto della patente con in testa uno scolapasta, simbolo della loro fede. Qualcuno ci è pure riuscito: nel luglio 2011, in Austria, l'ufficio dei trasporti di Vienna ha riconosciuto il diritto di un giovane pastafariano, Niko Alm, a inserire nella patente di guida una propria fotografia uno scolapasta in testa. Analogo episodio si è ripetuto nel luglio 2013 a Brno, in Repubblica Ceca, quando il ventottenne Lukáš Nový ha ottenuto che gli venisse riconosciuto il diritto di utilizzare, per la propria carta d'identità, una foto che lo ritrae mentre indossa lo scolapasta, in accordo alle leggi nazionali che consentono l'utilizzo di copricapi per motivi medici o religiosi purché non nascondano il volto.
Purtroppo la nuova religione ha preso una piega forse un po' troppo goliardica: per molti, essere pastafariano si limita a ritrovarsi per mangiare quantità di spaghetti. Del resto, una mano a tutto questo l'ha data Henderson, quando ha detto che nella religione pastafariana il paradiso esiste: un vulcano erutta birra, ed è pieno di spogliarelliste. Poi, per forza che non ci prendono sul serio.
Scherzi a parte, credo davvero che oggi ci sia bisogno di pastafarianesimo: da un lato sentiamo gridare “Allah è grande” da tizi che si fanno saltare in aria, dall'altra preti drogati e puttanieri (quando va bene) ce la menano con la santità. Meglio mettersi uno scolapasta in testa, e cercare di trascinarli nel ridicolo.
In Italia il movimento pastafariano sta prendendo piede. Il registro nazionale conta oggi 3259 iscritti, manchi tu.
In Italia, tra l'altro, la chiesa pastafariana ha chiesto di togliere le tasse sulla casa dei propri adepti, visto che la casa di ogni pastafariano è un luogo di culto. 

domenica 15 novembre 2015

FACCE DIVERSE DELLA STESSA MEDAGLIA.

Di fronte a quanto accaduto in Francia ho pensato che fosse meglio tacere. Un attacco simile, e il rispetto alle vittime, non rende necessarie parole. Il silenzio mi era sembrato la cosa migliore.
Poi però ho visto scatenarsi i peggiori istinti. La giusta rabbia contro quanto successo, si è trasformata in un odio generalizzato verso il diverso, verso lo straniero, e le forze politiche più becere si sono lanciate in uno sciacallaggio indegno sui corpi ancora caldi delle vittime.
Questo mi ha convinto ancora di più che fosse meglio tacere, inutile cercare di riflettere in mezzo a tanto caos.
Poi ho pensato che stavo, stavamo, facendo proprio quello che i terroristi vogliono. Estremizzare lo scontro ideologico, schiacciare gli europei verso posizioni di intolleranza, cosicché gli immigrati che sono qui vengano per reazione portati sulle posizioni degli integralisti.
Se l'integrazione è una parola che ormai fa venire l'orticaria a molti da queste parti, l'Isis può ben festeggiare. Non serve un ragionamento complesso per capire che l'integrazione è il primo nemico di chi cerca di arruolare persone nella causa integralista.
Prendiamo ad esempio il titolo di Libero, “bastardi islamici”. Neanche pagando l'Isis avrebbe ottenuto risultati migliori. E anche Libero, in un modo che a me pare indegno, strizza l'occhio ai fondamentalisti di casa nostra, capendo che ormai chi fa di tutta l'erba un fascio va per la maggiore.
Se in Francia Marine Le Pen, leader della destra più oltranzista, ha scelto di mantenere un profilo basso per rispetto alle vittime, qui da noi Salvini e la Meloni si sono lanciati in una campagna di strumentalizzazione tutta volta a raccogliere voti alle prossime elezioni.
L'attacco di Parigi ha sicuramente portato più voti alla Lega di quanti ne abbia persi a causa degli scandali e della corruzione che hanno travolto il vecchio Bossi un paio di anni fa.
Il partito nato all'indomani di tangentopoli sull'onda dell'indignazione per la corruzione, ha dimostrato di essere ben più ladro dei partiti della prima repubblica a cui portava via voti 20anni fa, ma il cambio di brand voluto da Salvini (da “prima il nord” a “prima gli Italiani”) sicuramente pagherà bene alle prossime elezioni e ha fatto dimenticare il Bossi e il suo cerchio magico ad un elettorato dotato di ben poca memoria.
Ma non è di queste piccole beghe che volevo parlare. Ho deciso di dire la mia perchè ho pensato che il silenzio di quelli che vogliono ragionare e capire sia una vittoria dell'Isis da un lato, e dei partiti che ho detto prima dall'altra. Soggetti che, se ci riflettete un po', appaiono molto simili: facce diverse della stessa medaglia.
Ieri ho visto su Facebook molti giustizieri da tastiera votarsi a Mussolini per risolvere il problema: quanto è poca la memoria storica. Addirittura c'è chi ha invocato l'intervento di Totò Riina. Poi ci sono quelli che mettono la foto del profilo con i colori della bandiera francese, o fanno girare una catena di Sant'antonio per un moccolotto sullla finestra, e pensano di aver fatto qualcosa di utile.
Quello che dovremmo chiederci è come mai siamo arrivati qui, e come possiamo fare per uscirne. Questa situazione si è creata, a livello internazionale, grazie ad una marea di errori che Europa e Stati Uniti hanno fatto e continuano a fare. La guerra del golfo ha dato il via ad un processo che invece che portare avanti il medio oriente, ha scatenato una polveriera di instabilità che ha creato le condizioni per il successo dell'integralismo. Abbattere i cosiddetti “signori del male” come Saddam Hussein o Muhammar Gheddafi ha peggiorato la situazione.
Oggi, i bombardamenti “a cazzo” (scusate la parola, ma ci sta) che si fanno contro l'Isis, in un contesto internazionale di divisione, non hanno altro risultato che estremizzare ancora di più le posizioni radicali. Questo non significa che sia sbagliato attaccare l'Isis, anzi. Quello che dobbiamo fare però, è fare sul serio. Bisogna andare là e combattere davvero sul campo, e bisogna agire contro chi, qui da noi, fornisce le armi ai terroristi. Possibile che il nemico dell'America abbia in dotazione una caterva di M16 prodotti in fabbriche statali americane?
La propaganda di reclutamento dell'Isis pesca proseliti in Europa nei grandi ghetti che sono stati creati nelle periferie delle grandi città. Esempio lampante di luoghi dove l'integrazione non c'è stata, non ha funzionato, e i ghetti degradati sono diventati terreno di consenso verso i terroristi. Prova quindi che l'integrazione è la vera arma per fare in modo che qui da noi il terreno non sia fertile.
Anche la parola integrazione qui da noi è stata travisata ed è diventata uno dei nemici del popolo. Integrazione è il fatto che io rispetto che tu mangi il couscous, e tu rispetti che io mi mangio le costine di maiale. Non è integrazione rispettare ad esempio il velo imposto alle donne. Noi, dalle nostre parti, abbiamo sudato anni per ottenere diritti e abbiamo principi su cui non possiamo mollare neanche di un centimetro. Non possiamo mollare sul rispetto delle donne, sulla libertà religiosa, sulla democrazia. Chi ha pensato – e a sinistra sono stati molti, troppi – che l'integrazione significasse rispetto per qualunque squallida usanza di chiunque arriva qui, ha commesso un errore enorme. Non si tratta di difendere semplicemente “noi” contro “loro”, ma di affermare senza dubbio che alcuni dei nostri valori non possono essere messi in discussione da nessuno, mai.
In Italia si stima che ogni anno 30mila bambine vengano sottoposte a infibulazione (mutilazione dei genitali) da parte dei genitori. Nei loro paesi di origine è una tradizione a cui viene attribuito un qualche oscuro valore “culturale”: qui da non può e non deve essere minimamente accettata una pratica simile, ma invece nel nostro paese, ogni anno migliaia di bambine subiscono questa pratica inumana. Su questo, ed è solo un esempio, la nostra tolleranza deve essere molto meno di zero.
Per essere chiari, io credo che l'integrazione debba essere fatta, ma senza mettere in discussione i valori fondanti della nostra società. Cosa che, per qualche genio nostrano, si riduce a dire che il crocefisso nelle aule non si tocca. Come se, qui da noi, fregasse davvero qualcosa a qualcuno (cardinali in primis) di quello che ha detto quell'ebreo 2mila anni fa.
I nostri valori, per fortuna, sono ben altri. O almeno, lo sono i miei.
Una gran mano a rendere tutto più complicato la dà il solito, farraginoso, sistema italiano. Le procedure per il riconoscimento dell'asilo politico sono in realtà delle lotterie lunghissime, che non riescono a distinguere tra chi ha diritto e chi non lo ha, costringendo per lunghi mesi, se non anni, persone ad essere posteggiate in qualche centro accoglienza senza poter lavorare (gli è vietato dalla nostra legge) per avere alla fine un risultato che può essere di riconoscimento della domanda, oppure di espulsione che significa semplicemente entrare in clandestinità. Il nostro sistema giudiziario poi sembra fatto apposta per chi vuole delinquere. Processi lunghissimi, tre gradi di giudizio che sembrano non finire mai, e poi nel caso una venga finalmente condannato bisogna andarlo a cercare per metterlo dentro, come se un ladro stesse lì a casa sua a aspettare i Carabinieri che vengono a prenderlo.
La Francia, all'indomani degli attentati, ha annunciato di aver chiuso le frontiere. Bella balla, Hollande: le frontiere, per gli stranieri, le hai chiuse da sempre (vedi gli immigrati accampati sugli scogli a Ventimiglia) e poi è troppo facile blindare le frontiere di terra. Prova ad essere, come è l'Italia, una immensa portaerei protesa nel mare della disperazione e vediamo come fai, a blindare le frontiere.
Quindi, sintetizzando: se là è un gran casino, è perchè lo abbiamo in parte scatenato noi. Se non ci decidiamo ad affrontare seriamente, con truppe di terra, l'Isis, non ne usciamo. L'integrazione deve essere vera e deve partire dai nostri valori, su cui non si tratta. Il sistema italiano, in primis quello giudiziario, va riformato alla veloce, perché il diritto alla giustizia è fondamentale.

domenica 1 novembre 2015

LUNGA VITA AD EQUITALIA!

Ma tutta 'sta gente che ce la su con Equitalia... Adesso vi dirò una cosa impopolare e controcorrente: lunga vita ad Equitalia!
Oggi ho visto dei post in rete che dicevano che bisogna chiudere Equitalia e che bisogna annullare i debiti di tutti gli italiani. Col ciufolo, ho pensato.
E fin qui mi son fatto dei nemici. Vi premetto inoltre che questo post sarà un po' lungo, e immagino che a questo punto sarete rimasti in 4 a leggere, e sono i 4 che mi interessano, perchè qui si prova ad approfondire, e quelli che se va bene leggono i titoli (o peggio guardano la foto) a questo punto ce li siamo tolti dai piedi, e va bene così...
Quindi, proviamo a fare un ragionamento, e se qualcuno dei 4 lettori non è d'accordo, discutiamone.
Ora facciamo un esempio, tanto per cominciare. Facciamo che io sono un imprenditore e che sto attraversando un momento di crisi. I miei clienti non mi pagano, ad esempio. Oppure, peggio, è un periodo che ci do di brutto in macchinette, cocaina e puttane. Fatto sta che i soldi per pagare i contributi per i miei dipendenti, non ce li ho. E quindi, non pago.
Magari i miei dipendenti non se ne accorgono neppure, che gli sto fregando la pensione. Ma l'INPS se ne accorge e mi scrive un po' di lettere. Poi, passa la partita a Equitalia che mi manda un bella cartella, con tanto di mora.
E io faccio la vittima di Equitalia, m'incateno allo sportello, ecc. E su facebook trovo un mucchio di gente che mi difende, che s'indigna per il povero imprenditore ucciso dalle tasse.
Ora io non arrivo a dire che sia bello pagare le tasse, ma dico che è una cosa che si deve fare, magari storcendo il naso ma le cose funzionano così. Gli stati fanno pagare le tasse ai loro cittadini, e in cambio danno servizi.
Qui lo so qual è l'obiezione: le tasse sono troppe, e i servizi inefficienti. E' vero, ma la strada è chiedere servizi migliori e maggiore equità, cioè che le tasse le paghino tutti.
La soluzione di non pagare fa di me un evasore fiscale, che scarica sugli altri i costi che non paga, mica un eroe.
Quindi, io sono dell'idea che quando uno non paga qualcosa che deve, ci debba essere qualcuno che questi soldi glieli va a chiedere. Se qualcuno di voi pensa che in un sistema ideale uno dev'essere libero di fare debiti, di non pagare, e poi fregarsene bellamente, spiegatemi come fate a farlo funzionare, il vostro sistema ideale.
Ora usiamo un po' la memoria: prima di Equitalia come funzionava? Che c'erano a livello nazionale una quarantina di società, anche private (ad esempio banche) che si occupavano di riscuotere i debiti verso gli enti pubblici.
Poi nel 2006 è nata “riscossione spa”, una società pubblica che l'anno dopo ha cambiato nome in Equitalia. Chi sono i proprietari? Equitalia è una società pubblica: le sue azioni sono di proprietà di dell’Agenzia delle Entrate per il 51 per cento e dell’INPS per il 49 per cento.
Quindi, si tratta di una società pubblica che si occupa, per conto dei suoi proprietari, di riscuotere dei crediti. Per il suo funzionamento, Equitalia trattiene il 9% di quanto recupera.
Ora, io non difendo Equitalia in sé, che può affondare in mare quando vuole per quel che mi interessa. Il fatto è che, se Equitalia non ci fosse più, o non ci fosse mai stata, comunque i debiti resterebbero e qualcuno verrebbe a chiedere il conto, e farebbe bene secondo me.
Il M5S (che ha fatto della lotta a Equitalia uno dei suoi pilastri) ha presentato nel luglio 2014 una proposta di legge per l'abolizione di Equitalia, per trasferire le competenze da questo ente all'Agenzia delle Entrate e rendere la riscossione dei tributi “qualcosa di umano, non di meccanizzato come vuole Equitalia”. D'accordo, ma i debiti restano, magari incassi un po' di voti lì per lì ma alla fine non cambia nulla.
Ci dice il deputato a 5 stelle Carlo Sibilla, sul blog di Grillo, che dove il M5S governa, Equitalia non c'è più. I sindaci a 5 stelle hanno trasferito le competenze all'ufficio dei tributi comunali. Questa è una bella balla: la riscossione dei crediti dei comuni da parte di Equitalia è stata vietata dal gennaio 2013, quindi non hanno trasferito proprio un bel niente.
Le cose allora vanno bene così? No di certo: occorre abbassare le tasse, e distinguere tra chi ha dei debiti per colpa della crisi e chi invece li ha perchè fa il furbo. Bisogna distinguere tra il povero pensionato che fatica ad arrivare a fine mese e la grande società che fa business in Italia e porta i soldi in Lussemburgo.
Chi se la prende con Equitalia fa il gioco invece delle sue grandi “vittime”: Valentino Rossi, Diego Maradona, Flavio Briatore, solo per citare qualche Vip incappato prima nei controlli delle agenzie delle entrate, e poi nelle cartelle di Equitalia.
Quindi, quando vedo su fb un disoccupato che linka qualche post contro Equitalia, non posso fare a meno di pensare che non ha capito un cavolo della vita.
Massacratemi pure, ma io la penso così...

mercoledì 19 agosto 2015

Recensione seria ma non troppo
SONO ANDATO ALL'EXPO!

Un pò di culo non guasta
Ieri sono andato a visitare l'expo. A botta calda, vi racconto le mie impressioni.
Il biglietto non è molto economico, sopratutto per una famiglia di 4. Noi abbiamo preso i biglietti on line, usufruendo dello sconto soci coop, spendendo 74,90 €. Prima incongruenza lieve: il pacchetto famiglia non prevede che uno possa avere due figli, di cui uno under 14 e uno no. Così mio figlio maggiore di 15 anni resta fuori dal pacchetto famiglia, e alla fine è quello che paga di più per entrare.
Al prezzo di ingresso va aggiunto il posteggio, anche quello prenotato on line: 11,90 €. Il parcheggio offre anche la navetta gratuita per l'expo, ma i 700 metri che lo separano dall'ingresso si possono fare comodamente a piedi.
Viste le notizie che dicevano che mangiare all'expo è carissimo, abbiamo optato per l'opzione panini da casa. Poi vi dirò sui prezzi che abbiamo trovato all'interno.
Ci presentiamo ai cancelli in orario pre-apertura, ma c'è già coda. Se odiate le code, come me, dovrete farvene una ragione. Comunque in 10 minuti siamo dentro.
Primo padiglione visitato quello dell'Oman: bello, ci parla dell'importanza dell'acqua. Al bancone c'è una bella ragazza (le belle ragazze si sprecano, negli stand all'expo). Penso “va che bionde ci sono in Oman”, poi scopro che è italiana.
Poi padiglione della Russia, che ci spiega che loro sono il granaio del mondo. Grazie, lo sapevo già.
Al padiglione del Giappone, che giapponese precisione, c'è una cartello che indica l'attesa della coda: alle 10 e mezza sono già 120 minuti di attesa. Lo saltiamo, come salteremo tutti gli stand con la coda perché proprio non la sopportiamo.
Ci dedichiamo ai paesi minori. Il più misero che vediamo è lo stand (chiamarlo padiglione è troppo) del Gambia, uno stato che se fossi Senegalese invaderei al volo (guardate la cartina del mondo e poi mi dite). C'è dentro un tizio che vende collanine colorate, tipo in spiaggia.
Anche lo stand degli USA è abbastanza triste, anche se enorme. Grandi schermi, con Obama che spiega il bisogno di sfruttare correttamente le risorse. Sui lati del padiglione, delle serre verticali che mostrano che si può coltivare l'insalata anche sui muri. Come se lo spazio fosse un problema in America.
L'Austria ha ricreato un bosco nel suo padiglione: bellissimo, proprio uguale a un sentiero nel bosco che conosco a 10 minuti di strada da casa mia. Domani ci vado, penso.
La cosa piùcomune, è entrare in uno stand e trovare qualcuno che ti offre un casco con visore 3d incorporato: un bel modo per fare vedere le bellezze del proprio paese. Allo stand della Moldavia me ne mettono uno, mi ritrovo in cima a una torre altissima e per uno che soffre di vertigini come me è un'esperienza terrificante.
Visore 3D
Il tema è il cibo ed è forse questo il limite dell'expo: sembra un po' di essere a Dolci Terre di Novi, ma nessuno offre nulla (tranne allo stand del Belgio, dove una ragazza ci dà un biscotto).
Tristissimo lo stand della Romania: dentro c'è solo una stanza in cui 4 danzatori in costume tradizionale mimano lo sgozzamento delle capre, con sottofondo di belati diffuso dagli altoparlanti. Probabilmente questi poveri cristi devono ripetere la stessa scenetta dalle 10 alle 21 tutti i giorni, ininterrottamente, e sono la maschera della rassegnazione.
La cosa che ho trovato più interessante è l'architettura, le strutture: alcune sono davvero strepitose, come l'alveare ricreato in acciaio inox dalla Gran Bretagna. A parte quello però, non c'è nulla. Uno potrebbe pensare che l'unica attività svolta dagli inglesi sia allevare api. Del resto, la cosa migliore che gli inglesi possano fare, sotto il tema “nutrire il mondo” è impegnarsi a stare lontani dai fornelli.
Il decumano – la strada principale dell'expo – è lunga e protetta da una lunga serie di vele che trovo spettacolari dal punto di vista tecnico. L'albero della vita è di nuovo molto bello, anche se trovo le vele più pregevoli. La coda più terrificante è al padiglione italia, che quindi saltiamo con rammarico. (vedi video) 


 
In generale, il cardo (strada che interseca il decumano) in cui stanno i vari padiglioni regionali italiani è la parte più bella dell'expo.
Stranamente tutto sembra funzionare bene, code a parte. E' tutto pulito e curato, ci sono erogatori di acqua fresca -anche gassata – un po' dappertutto. Rassicurante la presenza delle forze dell'ordine: carabinieri che vanno avanti e indietro su golf car elettriche, e agli ingressi esterni militari in mimetica.
Veniamo al cibo: mi avevano preannunciato che il costo della ristorazione all'interno era proibitivo. Ecco, io non so cosa si intenda per proibitivo, ma pagare 5 € per un Hamburger mi sembra abbastanza nella norma. Certo, ci sono posti dove lo si può pagare di meno, ma ho visto anche prezzi molto più esosi in località turistiche. Le tentazione del cibo esotico è forte, e alla fine ci facciamo tentare dal padiglione della Lituania. Mangio un strepitosa zuppa di funghi servita dentro a una cosa di pane, che da noi si chiama panettone. Insomma, un panettone pieno di zuppa di porcini: strepitosa! Mio figlio prende una zuppa di Yogurt, cetrioli e barbabietola, che sembra il gelato al puffo. Spendiamo 14 euro, e secondo me sono spesi bene. Poi, se pensate che l'expo, come dicevo prima, è Dolci Terre di Novi e gli espositori fanno a gara a farvi assaggiare la loro focaccia, sarete delusi.
Il panettone lituano ripieno di zuppa di funghi
Egoisticamente, il vero problema dell'expo è la troppa gente: ma non potevate andare tutti al mare e lasciarmelo visitare da solo, o al limite con uno o due bus di universitarie svedesi?
Quasi tutte le nazioni hanno scelto di mostrare i loro prodotti primari: l'agricoltura la fa da padrona. L'unico stand desolatamente vuoto è quello della pomposa “associazione internazionale degli agronomi”, che non se li fila nessuno. Chissà cosa hanno speso per quello spazio... si vede che i fondi non mancano.
La cosa che ho trovato più interessante è l'esposizione, in vari stand, delle serre idroponiche. Credevo fossero una roba da libri di fantascienza, invece esistono ed è possibile mettersele in casa, senza terra e riciclando l'acqua, a impatto zero con un bel pannello solare che regola temperatura, luce e umidità. Il bello di queste serre è che lì dentro è sempre la stagione giusta, e puoi avere insalatina fresca tutto l'anno, pomodori e peperoni. Non male, ne voglio una, e ho scoperto che in rete ci sono i progetti per auto-costruirsela. Ne facciamo una?
La nostra visita finisce alle 17: lo smartphone ci dice che abbiamo percorso quasi 20 chilometri a piedi, ma non li sento. Sarà il panettone lituano pieno di zuppa di funghi?
Se non volete fare code, se non vi piace camminare, state a casa. Ma se siete gente curiosa, non perdetevelo.

mercoledì 1 luglio 2015

Allerta in Regione Piemonte
L'INVASIONE DEI GAMBERI ALIENI

Il gambero rosso della Louisiana, noto anche come “gambero killer”, si sta diffondendo con rapidità nei corsi d'acqua italiani e in anche quelli della nostra Provincia. La Regione Piemonte ha recentemente diffuso un opuscolo con cui lancia l'allarme per la diffusione di questa specie “aliena” che è molto pericolosa sia per il nostro ecosistema sia per chi dovesse cibarsene.
Tecnicamente si tratta di una specie alloctona, cioè che si è sviluppata altrove e che è stata poi introdotta in un ecosistema a lei estraneo.
Il Gambero della Louisiana si è trovato bene qui da noi, grazie alla mancanza di quelli che nel suo ambienti di origine sono i predatori naturali. Non si sa come sia arrivato nei nostri corsi d'acqua questo animale: fatto sta che si sta diffondendo ai danni di altre specie autoctone, come il gambero di fiume, originario proprio del Piemonte e ormai rarissimo.
Il gambero nostrano è una specie molto esigente: predilige torrenti e stagni di acqua fredda, limpida e ben ossigenata, non inquinata e con presenza di vegetazione ed anfratti in cui nascondersi. La riduzione di ambienti incontaminati e la competizione con il gambero della Louisiana, ne fanno una specie a rischio di estinzione: per questo motivo è tutelato a livello europeo e nazionale.
Il gambero rosso della Lousiana è invece una specie molto più robusta che si adatta ad ambienti più “sporchi”. E'annoverato dall’Unione Europea ai primi posti fra le 100 “Specie Aliene Invasive” più dannose, e per quanto riguarda il Piemonte è sicuramente in testa alla classifica. Questo crostaceo è onnivoro, e si ciba di larve, uova, girini, avannotti, insetti, anfibi e pesci, compromettendo con la sua voracità l'esistenza di altre specie. Come se non bastasse, Il Gambero Rosso della Louisiana è portatore sano della “peste del gambero”, malattia letale per i gamberi d’acqua dolce nostrani. La sua capacità di vivere in ambienti inquinati ne fa un accumulatore di batteri, metalli, tossine e parassiti.
E' facile riconoscere il gambero alieno da quello nostrano. Innanzitutto grazie al colore: il nostro è grigio verde, mentre quello della Lousiana è rosso. Inoltre, il nostro gambero raggiunge una dimensione massima di 8 cm e un peso di 60 grammi, mentre lo straniero è molto più grande: raggiunge i 20 cm e il peso di due etti. Purtroppo, in giovane età il gambero rosso è di colore grigio verde, e quindi può essere facilmente scambiato con il gambero piemontese. Uno dei modi migliori di identificarlo è guardare le chele: l'alieno le ha appuntite, mentre il nostrano arrotondate.
Il gambero invasore non solo è più robusto, ma è anche molto più prolifico: raggiunge la maturità sessuale in soli 3 mesi, contro i tre anni, e depone 500 uova per volta, contro le sole 100 del gambero piemontese.
Occorre agire rapidamente per eliminare il pericoloso invasore. Il gambero è pericoloso anche per l'uomo che se ne volesse nutrire, in quanto sono stati segnalati casi di epidemie di infezioni umane dovute principalmente all’ingestione di gamberi rossi contaminati e non abbastanza cotti. Non è semplice tenere sotto controllo la sua diffusione, e in alcune zone si sta intervenendo diffondendo nell'ambiente il suo nemico naturale, l'anguilla, oltre che provvedendo a prosciugare, quando possibile, le riserve d'acqua in cui prolifera.
Fondamentale la collaborazione della popolazione, che deve tempestivamente segnalare alle autorità competenti qualsiasi avvistamento.
Nei fiumi della provincia sono state segnalate ben 21 specie alloctone, per le quali non vi è nessuna limitazione di pesca tra l'altro. La più “strana”, diffusa anche nella Scrivia, è la Anodonta woodiana, una vongola d'acqua dolce che può raggiungere dimensioni impressionanti: fino a 30 centimetri.
E' stata creato anche un sito grazie al quale è possibile segnare avvistamenti di gamberi rossi e vedere la sua diffusione: www.gamberialieni.divulgando.eu

martedì 12 maggio 2015

MERCOLEDI FESTIVO E LOTTA ALL'EVASIONE

Ieri (11 maggio 2015) su "la stampa" intervista a DiMaio (m5s) sul reddito di cittadinanza. L'onorevole grillino ci dice che in Italia serve il reddito di cittadinanza, e che deve essere di 780 euro. Fatti due conti, per dare questo reddito per un anno a tutti i disoccupati italiani, dovremmo tirare fuori circa 30 miliardi di euro. Senza contare che in Italia ci sono moltissime persone che lavorano, ma guadagnano meno di 780 euro al mese, e che si troverebbero nella situazione di avere più convenienza a percepire il reddito di cittadinanza, che ad andare a lavorare.
L'intervistatore (Francesco Maesano) infatti nell'intervista chiede "e le coperture?", cioè, dove troviamo i soldi per dare il reddito di cittadinanza? Di Maio risponde "Le coperture le possiamo discutere ma devono arrivare ai 780 euro".
Ma che caspita vuol dire, onorevole? Le possiamo discutere? Ma allora siamo capaci tutti!
Ecco, ad esempio io propongo che ogni italiano abbia diritto a pranzo e cena in pizzeria, tutti i giorni. E che lo stato gli faccia il pieno della macchina, e gliene compri una nuova tutti gli anni. Che il mercoledì sia festivo e che a Novi ci sia il mare. Sulle coperture ne possiamo discutere, ma sul mercoledì festivo non si transige.
Ecco come trasformare una proposta seria - dare un sostegno a chi è in difficoltà - in una belinata senza senso, che muore lì.
Non è finita: oggi lo stesso Maesano intervista Speranza (PD) che è d'accordo sulle "misure antipovertà" anche se ritiene inapplicabile il reddito di cittadinanza. Anche a lui il giornalista chiede della coperture, e l'onorevole stavolta l'idea di dove trovare i soldi ce l'ha: la lotta all'evasione. Sono 40 anni che ogni volta che un politico non sa dove trovare i soldi, dice questa frase magica.
Ecco, io propongo che il mercoledì sia festivo, e i soldi li troviamo con la lotta all'evasione. Fatemi Presidente subito.

sabato 11 aprile 2015

CHIAMIAMOLO MOHAMMED...

 Chiamiamolo Mohammed. E' nato a Casablanca 20 anni fa, ma da 15 abita a Novi. Qui ha studiato, qui si è preso la qualifica di tornitore. Andava tutto bene, fino a poco tempo fa. Il padre lavorava, la casa in affitto, la tv con la parabola, un cellulare in tasca la prospettiva di trovare un lavoro alla fine della scuola.
Poi il papà ha perso il lavoro, e a 55 anni chi lo vuole più? Ha cercato per un po', poi ha deciso di tornare in Africa. Senza soldi meglio stare là, che qua da noi.
Mohammed non se l'è sentita di mollare tutto. Il Marocco per lui è un paese lontano, dove è stato qualche volta in vacanza. E' Novi il suo paese, ed è rimasto qui trovando da dormire a casa di amici. Ma la mattina deve uscire, e tornare la sera. Di giorno, non è casa sua, ma solo un posto dove dormire.
Il suo permesso di soggiorno sta per scadere, e per rinnovarlo deve lavorare. Un lavoro qualsiasi, pur di fare i documenti e rinnovare il permesso. Perché se scade, lui diventa un clandestino illegale ed è un reato penale. Deve tornare in Marocco, l'arabo manco se lo ricorda e i soldi per il biglietto non li ha. Non ha neppure i soldi per mangiare.
Per fortuna un piccolo artigiano edile gli offre un lavoro. Finisce a fare il muratore, lui che era il primo della classe quando c'era da far girare un tornio o una fresa. Piccoli lavoretti... dà il bianco, stucca, vernicia, mentre il suo capo gli promette che lo mette in regola e così può fare i documenti.
Lavora da solo, perché il suo capo non c'è mai. «Sta tutto il giorno a buttare i soldi nelle macchinette» mi dice. Il suo capo ha il vizio del gioco e passa la giornata al bar a giocare alle slot machine. A lavorare anche per lui ci va Mohammed, ma di stipendio non ne vede.
«Se ti va bene, è così, mi ha detto. Se no, per i documenti vai a chiedere a qualcun'altro.»
Mohammed va a lavorare tutti i giorni, anche per un fatto di dignità e perché se no, cosa fa tutto il giorno. Ma a fame, perché mangia poco e di rado.
«Ero contento, oggi» gli dico «ma adesso che mi hai raccontato questa storia, mi girano parecchio.»
Lui si scusa, mi dice che gli spiace. Spiace anche a me, Mohammed...

ZTL: FACCIAMO COME NELL'ANTICA ROMA?

Sembra un problema moderno, ma non lo è. Nell'antica Pompei, prima dell'eruzione che la distrusse, il centro città era vietato al transito dei carri dalle 8 del mattino alle 8 di sera. Sono passati duemila anni, ma la discussione è sempre la stessa. A Novi, poi, ne stiamo parlando da più di 10 anni e ancora non siamo alla soluzione definitiva.
Da alcuni anni la limitazione al traffico in via Roma è diurna. Da mezzanotte alle 19, divieto di transito a tutti residenti esclusi. Ora però è stata annunciata una rivoluzione dell'orario: la chiusura del traffico sarà dalle 17 alle 7,30 del mattino.
Il Sindaco Muliere insomma inverte la rotta rispetto al suo predecessore Robbiano, e cede alle pressioni dei commercianti che imputano alla ZTL la crisi del commercio, con una mossa a sorpresa che ha lasciato interdetti anche molti consiglieri comunali di maggioranza.
Da più parti la ZTL del centro storico era stata definita un “colabrodo”: erano talmente tante le persone in possesso del permesso di transito (si parla di circa 4500 concessioni) che il traffico nella via era comunque presente anche nelle ore di chiusura.
I commercianti novesi se da un lato hanno sempre dimostrato una certa propensione al dialogo, in pratica si sono sempre opposti a qualsiasi forma di regolamentazione del traffico in Via Roma.
Ora staremo a vedere se i nuovi orari permetteranno al commercio in via Roma di rifiorire. In caso contrario, vorrà dire che i problemi sono altri.
Quando, oltre 10 anni fa, nacque dalle nostre parti il più grande centro commerciale d'Europa, ci fu chi previde ricadute positive per il commercio novese, che sarebbe dovuto essere in grado di intercettare i milioni di visitatori attirati dall'Outlet. Ci fu anche chi invece profetizzò che non solo non si sarebbero avuti visitatori in più, ma il complesso Outlet e Retail Park avrebbe finito di attirare anche i novesi, portandoli via al tradizionale commercio in Città.
Nel 2007 la Regione Piemonte diede vita un progetto sperimentale che prese il nome di “distretto commerciale”, e diede anche cospicui fondi che avrebbero dovuto servire per fare entrare Novi e dintorni nel circuito della grande distribuzione. Finiti i fondi (oltre mezzo milione di euro) il progetto si è trasformato nel “distretto per la valorizzazione turistica” in cui sono rimaste solo le amministrazioni locali, dopo che le associazioni dei commercianti (forse perché questa volta i soldi bisognava metterceli) hanno preferito stare fuori dal progetto.
Basterà poter posteggiare davanti al negozio per rivedere clienti in Via Roma? All'outlet, si posteggia più lontani di quando ci si reca a fare la spesa a Novi, e non per questo i clienti mancano. Il dubbio è che i problemi del commercio novese siano ben altri, ma speriamo di sbagliarci.

domenica 18 gennaio 2015

Mio Nonno

Mio Nonno si chiamava Vincenzo e non era un chiacchierone. Lo chiamavamo Nonno Censo, e viveva in una cascina all'inizio della Valle con la Nonna Rosetta e il Nonno Nô, che si chiamava Giovanni ma tutti lo chiamavano così, ed in realtà era il mio bisnonno.
Noi piemontesi non siamo gente espansiva. Il Nonno Censo parlava poco, e il Nonno Nô ancora meno. Ma avevano tutto quello che poteva fare felice un bambino che viveva in un condominio negli anni '70: tanto spazio, due cani, un bue, agnelli, galline, conigli. Con mia sorella e le mie cugine, passavamo sempre la domenica dai Nonni con le nostre famiglie.
Vicino alla casa c'era l'orto, il campo e in fondo al campo il fosso. Per un bambino un fosso è il massimo: dovevi stare attento a non finirci dentro, come ripeteva la Mamma di continuo, e dovevi provare a saltare dall'altra parte, cercando di non finirci dentro e di non farti vedere dalla Mamma.
Dopo il fosso c'era la vigna, una collina che ci sembrava altissima, e dopo la vigna il bosco.
Il bosco era quel posto in cui il Papà e il Nonno andavano la mattina presto, con i cani e i fucili, e tornavano con lepri e fagiani.
Nel bosco non si poteva andare, perché eravamo troppo piccoli. Il bosco per me era il mistero e l'avventura, era la curiosità e la scoperta del mondo. Pensavo sempre che un giorno sarei stato abbastanza grande per partire, saltare il fosso, salire la vigna e avventurarmi nel bosco.
La cascina del Nonno era divisa a metà dal portico: da un lato c'era la casa, e dall'altro c'era il laboratorio e la stalla.
Nel laboratorio c'era una morsa enorme, e tanti attrezzi. Io non ci potevo andare, perché la Mamma diceva che mi potevo fare male, ma riuscivo sempre ad infilarmici e prendere il mio martello preferito e spaccare i pezzi di carbone che servivano per la stufa. La morsa poi mi attirava irresistibilmente: c'era un perno e se lo giravi la morsa si apriva e si chiudeva, e questa è una cosa normale per una morsa, ma per un bambino degli anni '70 era come la playstation. Una volta girai tanto che la morsa si sganciò da un lato e rischiò di cadere. La presi al volo, e rimasi lì con una mano che spingeva la morsa senza sapere cosa fare. Non riuscivo a rimetterla a posto, e se la avessi lasciata andare sarebbe caduta a terra e il Nonno se ne sarebbe accorto.
Dopo un po' entrò il Nonno e io mi sentii gelare il sangue: mi aveva beccato e non riuscivo neppure a parlare. Diede un colpo alla morsa che si riagganciò, e mi disse “Và.” Io scappai via, pensando che ora lo avrebbe detto alla Mamma, e il Papà mi avrebbe sgridato e non sarei mai più uscito di casa. Invece il Nonno non disse nulla.
Il Nonno aveva fatto il fabbro tutta la vita, prima di finire a fare l'operaio in un cementificio per cercare di avere una pensione. Aveva mani enormi e dure in fondo a braccia muscolose, e mi sembrava fosse l'uomo più forte del mondo. Alle volte caricava noi bambini su una specie di carriola e ci portava in giro mentre noi pensavamo che nessuno altro al mondo era forte come il Nonno che aveva tanta forza da riuscire a sollevare una carriola con quattro bambini dentro.
Vicino a casa c'erano la forgia e l'incudine. Il Nonno prendeva un pezzo di ferro e a furia di calore e martellate lo faceva diventare un ferro da cavallo, o da bue. Qualche volta mi permetteva di stare a vedere, e se facevo il bravo potevo girare il mantice che soffiando creava al centro della brace un calore enorme che bruciava la faccia a guardarlo. Il Nonno ci metteva il ferro fino a che non diventava rosso e poi lo batteva sull'incudine con ritmo, fino a quando non si raffreddava e allora lo rimetteva nella forgia. Quando il ferro era finito, lo scaldava un ultima volta prima di immergerlo brevemente in un secchio d'acqua, e questa ultima operazione si chiamava “tempra”.
Poi arrivava il bue, e il Nonno con una catena lo agganciava ad un anello di ferro che era nel muro, per tenerlo fermo. Prendeva una zampa del bue e se la metteva sulle ginocchia, la puliva bene, poi ci piazzava il ferro e lo inchiodava. Ci sembrava impossibile che si potesse mettere un chiodo sulla zampa di un animale, e correvamo a chiedere alla Mamma se gli faceva male, e lei ci rispondeva che lo zoccolo è duro e il bue non sente mica niente. Noi pensavamo di essere molto fortunati ad avere le scarpe e non dover avere i ferri e i chiodi piantati nei piedi.
A pranzo la domenica mangiavamo quasi sempre tagliatelle con la lepre e la Nonna ci diceva di stare attenti ai pallini. Noi bambini se ne trovavamo uno gridavamo di gioia, come se avessimo vinto alla lotteria, lo facevamo vedere a tutti e poi ce lo mettevamo in tasca come se fosse stato una moneta d'oro.
Il Nonno aveva fatto la guerra: era stato uno dei tanti mandati al fronte russo, ed uno dei pochi che era riuscito a tornare. Ci dicevano che era tornato a piedi dalla Russia, d'inverno, inseguito dai cosacchi. E' morto di polmonite a 68 anni, in un letto d'ospedale, durante uno sciopero dei medici.