martedì 26 marzo 2013

IL CUORE OLTRE L'OSTACOLO


E’ una mia solitaria impressione o il Partito Democratico si è sdoppiato? Semplificando, da una parte il partito pesante di Bersani e dall’altra  quello leggero di Renzi. 
Non parlo dei dirigenti del partito, la complessità della situazione va oltre le mie capacità di interpretazione. Sono così tontolone che non ho neppure ancora capito chi siano i giovani turchi… Figurati se posso capire le mille divisioni, le mille sensibilità dei dirigenti del PD.

Mi riferisco invece al sentire della “gente”, alle sensazioni degli iscritti, della base del PD. In gioco c’è l’identità del partito. Il PD è un recinto chiuso o aperto? Ha una vocazione maggioritaria oppure cerca il consenso attraverso le alleanze? E’ un partito giovane o un partito vecchio? 
Ma soprattutto, è possibile una sintesi tra questi due modi – in parte opposti – di recepire l’impegno politico? 
Tra i tanti problemi, si avvicina anche il momento del congresso del Partito Democratico. Assisteremo – e parteciperemo – a uno scontro da cui usciranno uno sconfitto e un vincitore, oppure ci sarà la capacità e la volontà di fare una sintesi? 
Faccio un esempio per essere capito bene. Durante le scorse primarie Renzi ha cercato di portare al voto, nelle primarie,  i delusi del centro destra. Bersani ha detto  abbastanza chiaramente (non è che la chiarezza sia una delle virtù in cui eccelle il segretario del PD) che quei voti non li voleva. 
Il caso di Novi ha avuto spazio in tutti i giornali nazionali. Pino Dolcino, ex segretario della lega e consigliere comunale di opposizione, si è recato al seggio per votare Matteo Renzi. Regolamento alla mano, il Presidente del seggio gli ha negato il diritto di voto. Ha fatto bene? Una parte del PD dice di sì. Un’altra parte dice di no. Se abbiamo una vocazione maggioritaria, cioè se ci cerchiamo i voti per governare e tutti i voti sono uguali, allora Dolcino può votare. Se abbiamo una vocazione identitaria, cioè se abbiamo un recinto in cui ci sono i buoni di provata fede, allora Dolcino resta fuori.

Non è una distinzione di poco conto. Ardua è la sintesi, cioè mettere insieme in un percorso comune questa differenza così sostanziale del modo di intendere il partito e il suo rapporto con gli elettori.  
Però bisogna provarci. Superare le divisioni e gettare il cuore oltre l’ostacolo. Se no, il rischio è che mentre noi discutiamo della forma del partito, il mondo va avanti veloce.  Le recenti elezioni ci hanno dato un risultato chiaro: la proposta del PD, la proposta di Bersani, non ha convinto gli elettori. Possiamo partire da lì?

“Se aveste candidato Renzi…” me lo hanno detto tante volte che ho la nausea di sentirlo dire, io che Renzi alle primarie l’ho votato, figuriamoci gli altri. Non è con le tonnellate di senno di poi che possiamo costruire il futuro. Lo possiamo costruire capendo i nostri errori e aprendoci a tutti gli Italiani, non solo ai “nostri”… 


sabato 9 marzo 2013

DA CHE PULPITO!

Il giorno dopo le recenti elezioni, ad un giornalista che me la chiedeva, ho espresso una dichiarazione un po' arrabbiata sul risultato elettorale. Ho detto che “Alcuni dirigenti del mio partito, a livello locale, sembrano asserragliati in un fortino assediato dagli indiani, incapaci di avere un rapporto con i cittadini. A livello organizzativo locale e comunicativo abbiamo fatto errori enormi e anche ridicoli: sarebbe ora – anzi, è forse tardi – che qualcuno traesse le conclusioni e si prendesse delle responsabilità”.
Capisco che qualcuno si sia sentito tirato per la giacchetta e si sia risentito. Infatti, a giro di posta, al giornale, è arrivata una lettera di Franco Soffiantini che me le canta.
Franco spiega – dopo un lungo attacco a Marubbi, anche lui reo di aver criticato la linea – che durante “tutta la campagna elettorale, non ho visto gruppi di dirigenti asserragliati, ma impegnati utilizzando sistemi di campagna elettorale tradizionali e di comunicazione innovativa.... ma non ho mai visto tra i tanti Andrea Vignoli. Una svista? Forse, ma non credo. Quindi non mi resta che concludere con  quel vecchio proverbio: “Ma guarda da che pulpito devo sentire la predica”.
Io a Franco Soffiantini sono affezionato. La prima volta che entrai nelle stanze di Piazza XXVII aprile, ero un giovane corrispondente del Novese da Vignole Borbera. C'era ancora il PCI e c'era lui. Poi il PCI è diventato PDS, io mi sono iscritto e c'era lui. Poi il PDS è diventato DS, e c'era lui. Poi i DS sono confluiti nel PD, e c'era lui. Oggi, c'è ancora lui. Come potrei non essergli affezionato?
Ha ragione Franco quando dice che in quelle stanze non è che mi ci si veda molto. Almeno, non tanto come lui. Ma purtroppo, non sono in pensione e mi tocca lavorare. Poi, ho anche una famiglia e quando voglio sentirmi a casa, vado a casa, mica in partito. Quindi, non è che posso essere lì tutti i giorni.
Al di là degli impegni personali e delle disponibilità di tempo però penso che la campagna elettorale non si fa in partito, ma si fa fuori. C'era forse qualcuno da convincere a votare Bersani, nella sede del PD? Spero proprio di no. Invece, fuori da lì ce ne erano molti. E' stato proprio facendo la campagna elettorale in mezzo alla gente, nel mio quartiere, parlando con i miei colleghi, con gli amici, mi sono reso conto di quanto fosse difficile spiegare le ragioni del mio voto per Bersani. Forse sono io che non sono bravo, ma diciamoci la verità, non è che il nostro programma fosse così chiaro e immediato.
E' stato proprio stando in mezzo alla gente – anche al gazebo del PD, a cui stavolta sono io a non avere visto Soffiantini – che ho capito che il Movimento 5 stelle avrebbe raccolto un mucchio di voti. Bastava parlare con le persone, per strada. Certo, se facevamo un sondaggio in partito, tra di noi, facile immaginare che Bersani avrebbe vinto a mani basse. Ma come sappiamo non è andata così.
Pochi giorni fa ho seguito la Direzione Nazionale del PD convocata da Bersani. Molti discorsi utili, anche se l'impressione di fondo che si trattasse di un altro conclave, con tanti cardinali. Insomma, un po' troppo rituale, nonostante la diretta web.
Mi ha colpito la domanda che ci ha posto Renato Soru: “Non abbiamo ancora deciso ciò che siamo o che dobbiamo essere: conservatori o innovatori?”. Io ho deciso da tempo. Innovatore, senza dubbi.
Questa domanda va al cuore del mio, del nostro impegno politico. Io faccio “politica” per la Città, per la mia Novi. Il partito, il PD, è uno strumento, un mezzo, non il fine.
Purtroppo, c'è anche chi fa politica mettendo al primo posto il partito. Ma questa politica, non paga. Lo abbiamo visto tante volte, ad esempio nelle tante primarie perse in giro per l'Italia quando il PD ha cercato di mettere il suo uomo di apparato contro la società civile, perdendo regolarmente.
Io so che la passione per la politica non mi passerà mai e che troverò sempre il modo per dedicare un po' di energia, fina a quando mi resterà, alla mia Città. Ma questo non significa che lo debba fare per forza nel PD, o in qualche partito.