Mio Nonno si chiamava Vincenzo e non
era un chiacchierone. Lo chiamavamo Nonno Censo, e viveva in una
cascina all'inizio della Valle con la Nonna Rosetta e il Nonno Nô,
che si chiamava Giovanni ma tutti lo chiamavano così, ed in realtà
era il mio bisnonno.
Noi
piemontesi non siamo gente espansiva. Il Nonno Censo parlava poco, e
il Nonno Nô ancora meno. Ma avevano tutto quello che poteva fare
felice un bambino che viveva in un condominio negli anni '70: tanto
spazio, due cani, un bue, agnelli, galline, conigli. Con mia
sorella e le mie cugine, passavamo sempre la domenica dai Nonni con
le nostre famiglie.
Vicino alla casa c'era l'orto, il campo e in fondo al campo il fosso. Per un bambino un fosso è il massimo: dovevi stare attento a non finirci dentro, come ripeteva la Mamma di continuo, e dovevi provare a saltare dall'altra parte, cercando di non finirci dentro e di non farti vedere dalla Mamma.
Vicino alla casa c'era l'orto, il campo e in fondo al campo il fosso. Per un bambino un fosso è il massimo: dovevi stare attento a non finirci dentro, come ripeteva la Mamma di continuo, e dovevi provare a saltare dall'altra parte, cercando di non finirci dentro e di non farti vedere dalla Mamma.
Dopo
il fosso c'era la vigna, una collina che ci sembrava altissima, e
dopo la vigna il bosco.
Il bosco era quel posto in cui il Papà e il Nonno andavano la mattina presto, con i cani e i fucili, e tornavano con lepri e fagiani.
Il bosco era quel posto in cui il Papà e il Nonno andavano la mattina presto, con i cani e i fucili, e tornavano con lepri e fagiani.
Nel
bosco non si poteva andare, perché eravamo troppo piccoli. Il bosco
per me era il mistero e l'avventura, era la curiosità e la scoperta
del mondo. Pensavo sempre che un giorno sarei stato abbastanza grande
per partire, saltare il fosso, salire la vigna e avventurarmi nel
bosco.
La
cascina del Nonno era divisa a metà dal portico: da un lato c'era la
casa, e dall'altro c'era il laboratorio e la stalla.
Nel laboratorio c'era una morsa enorme, e tanti attrezzi. Io non ci potevo andare, perché la Mamma diceva che mi potevo fare male, ma riuscivo sempre ad infilarmici e prendere il mio martello preferito e spaccare i pezzi di carbone che servivano per la stufa. La morsa poi mi attirava irresistibilmente: c'era un perno e se lo giravi la morsa si apriva e si chiudeva, e questa è una cosa normale per una morsa, ma per un bambino degli anni '70 era come la playstation. Una volta girai tanto che la morsa si sganciò da un lato e rischiò di cadere. La presi al volo, e rimasi lì con una mano che spingeva la morsa senza sapere cosa fare. Non riuscivo a rimetterla a posto, e se la avessi lasciata andare sarebbe caduta a terra e il Nonno se ne sarebbe accorto.
Dopo un po' entrò il Nonno e io mi sentii gelare il sangue: mi aveva beccato e non riuscivo neppure a parlare. Diede un colpo alla morsa che si riagganciò, e mi disse “Và.” Io scappai via, pensando che ora lo avrebbe detto alla Mamma, e il Papà mi avrebbe sgridato e non sarei mai più uscito di casa. Invece il Nonno non disse nulla.
Nel laboratorio c'era una morsa enorme, e tanti attrezzi. Io non ci potevo andare, perché la Mamma diceva che mi potevo fare male, ma riuscivo sempre ad infilarmici e prendere il mio martello preferito e spaccare i pezzi di carbone che servivano per la stufa. La morsa poi mi attirava irresistibilmente: c'era un perno e se lo giravi la morsa si apriva e si chiudeva, e questa è una cosa normale per una morsa, ma per un bambino degli anni '70 era come la playstation. Una volta girai tanto che la morsa si sganciò da un lato e rischiò di cadere. La presi al volo, e rimasi lì con una mano che spingeva la morsa senza sapere cosa fare. Non riuscivo a rimetterla a posto, e se la avessi lasciata andare sarebbe caduta a terra e il Nonno se ne sarebbe accorto.
Dopo un po' entrò il Nonno e io mi sentii gelare il sangue: mi aveva beccato e non riuscivo neppure a parlare. Diede un colpo alla morsa che si riagganciò, e mi disse “Và.” Io scappai via, pensando che ora lo avrebbe detto alla Mamma, e il Papà mi avrebbe sgridato e non sarei mai più uscito di casa. Invece il Nonno non disse nulla.
Il
Nonno aveva fatto il fabbro tutta la vita, prima di finire a fare
l'operaio in un cementificio per cercare di avere una pensione. Aveva
mani enormi e dure in fondo a braccia muscolose, e mi sembrava fosse
l'uomo più forte del mondo. Alle volte caricava noi bambini su una
specie di carriola e ci portava in giro mentre noi pensavamo che
nessuno altro al mondo era forte come il Nonno che aveva tanta forza
da riuscire a sollevare una carriola con quattro bambini dentro.
Vicino
a casa c'erano la forgia e l'incudine. Il Nonno prendeva un pezzo di
ferro e a furia di calore e martellate lo faceva diventare un ferro
da cavallo, o da bue. Qualche volta mi permetteva di stare a vedere,
e se facevo il bravo potevo girare il mantice che soffiando creava
al centro della brace un calore enorme che bruciava la faccia a
guardarlo. Il Nonno ci metteva il ferro fino a che non diventava
rosso e poi lo batteva sull'incudine con ritmo, fino a quando non si
raffreddava e allora lo rimetteva nella forgia. Quando il ferro era
finito, lo scaldava un ultima volta prima di immergerlo brevemente in
un secchio d'acqua, e questa ultima operazione si chiamava “tempra”.
Poi
arrivava il bue, e il Nonno con una catena lo agganciava ad un
anello di ferro che era nel muro, per tenerlo fermo. Prendeva una
zampa del bue e se la metteva sulle ginocchia, la puliva bene, poi
ci piazzava il ferro e lo inchiodava. Ci sembrava impossibile che si
potesse mettere un chiodo sulla zampa di un animale, e correvamo a
chiedere alla Mamma se gli faceva male, e lei ci rispondeva che lo
zoccolo è duro e il bue non sente mica niente. Noi pensavamo di
essere molto fortunati ad avere le scarpe e non dover avere i ferri e
i chiodi piantati nei piedi.
A
pranzo la domenica mangiavamo quasi sempre tagliatelle con la lepre
e la Nonna ci diceva di stare attenti ai pallini. Noi bambini se ne
trovavamo uno gridavamo di gioia, come se avessimo vinto alla
lotteria, lo facevamo vedere a tutti e poi ce lo mettevamo in tasca
come se fosse stato una moneta d'oro.
Il
Nonno aveva fatto la guerra: era stato uno dei tanti mandati al
fronte russo, ed uno dei pochi che era riuscito a tornare. Ci
dicevano che era tornato a piedi dalla Russia, d'inverno, inseguito
dai cosacchi. E' morto di polmonite a 68 anni, in un letto
d'ospedale, durante uno sciopero dei medici.
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