lunedì 14 gennaio 2013

LA VERITA’, VI PREGO, SUI MARO’…

Il 18 febbraio 2012 due fucilieri di Marina del Nucleo Militare Protezione appartenenti al Reggimento "San Marco", il capo di prima classe Massimiliano Latorre e il secondo capo Salvatore Girone, imbarcati nella petroliera Enrica Leixe, in navigazione nel mar Arabico, sono stati arrestati dalla Polizia Indiana perché accusati di essere coinvolti nell'uccisione di due pescatori del paese asiatico.
Dal giorno dell’arresto  è nata una lite  internazionale  che vede contrapposto il nostro paese con l’India. Per l’Italia, i due militari erano in acque internazionali, e hanno agito secondo procedura,  mentre per le autorità indiane il fatto è avvenuto nelle loro acque e non c’era motivazione di uccidere i due pescatori.  
Secondo la versione italiana, i colpi sarebbero stati sparati dai militari in seguito a una manovra sospetta da parte del peschereccio indiano, scambiato per un’imbarcazione pirata. I due militari avrebbero seguito le procedure del caso, sparando prima di tutto delle raffiche di avvertimento e senza ricevere alcun segnale di risposta. Successivamente i militari avrebbero sparato verso il peschereccio, uccidendo i due marinai. Le autorità italiane affermano che l’episodio è avvenuto a 33 miglia di distanza dalle coste indiane, in acque internazionali. Se così fosse, l’episodio sarebbe da considerare sotto la giurisdizione italiana e quindi i due militari dovrebbero essere giudicati da un tribunale italiano.
Secondo gli indiani la manovra della St. Antony nei confronti della Enrica Lexie sarebbe stata pacifica e volta a dare la precedenza alla petroliera italiana. La reazione dei militari italiani sarebbe stata esagerata e non aderente alle normali procedure, soprattutto perché i marinai della St. Antony non erano armati. Le autorità indiane sostengono che l’imbarcazione italiana, non avendo avuto segnali di risposta alle raffiche di avvertimento, avrebbe dovuto tentare una manovra di evasione prima di decidere di attaccare. Ma gli indiani contestano soprattutto la posizione geografica in cui si sarebbe verificato l’incidente, e parlano di una distanza dalla costa tra le 15 e le 20 miglia. Se così fosse, trattandosi di acque territoriali indiane, il caso cadrebbe sotto la giurisdizione indiana.
Ma come sono andate realmente le cose? In Italia, dal giorno del tragico evento, è partita una campagna dei marò “ingiustamente detenuti perché hanno assolto il loro dovere”. La strumentalizzazione politica è stata fortissima, come sempre accade nel nostro paese: l’Onorevole Margherita Boniver si è addirittura offerta come ostaggio al posto dei due militari. L’Onorevole Ignazio LaRussa ha proposto ai due di candidarsi alle prossime elezioni politiche nelle sue liste.
Il dubbio sulla realtà dei fatti mi è stato dato dalla lettura di un articolo di Matteo Miavaldi, un giornalista che vive in Bengala ed è caporedattore per l’India del sito “China Files”, specializzato in notizie dal continente asiatico.
Secondo l’articolo i due militari hanno davvero ucciso due pescatori innocenti scambiandoli per pirati, sparando da una nave che non si trovava affatto in acque internazionali ma vicina alla costa indiana. Una volta arrestati, non hanno trascorso un solo giorno in carcere ma sono stati sempre ospitati in strutture confortevoli e hotel di lusso. Il governo italiano ha ammesso il loro errore e, intanto, ha provveduto in via extragiudiziale a risarcire le famiglie delle vittime.
Questa vicenda mi ricorda la tragedia del Cermis, quando un areo militare statunitense tranciò il cavo di una funivia provocando la morte di 20 persone.  Anche allora iniziò uno scontro tra la magistratura italiana e la giustizia USA. Alla fine i marines ebbero la meglio, e i militari vennero processati – e assolti – negli states, suscitando la giusta indignazione dei parenti delle vittime e di tutta la nazione.
Proprio in ricordo delleastrage del Cermis, credo che l’Italia debba fare chiarezza sui fatti del Kerala: se i militari hanno sbagliato, e lo hanno fatto in acque indiane, siano affidati alla giustizia indiana, altrimenti riportiamoli a casa. Ma non facciamone degli eroi solo per propaganda…

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