Forse però questa definizione va
integrata e allargata. Perchè deve essere necessario, per fare un
partito, creare “ un'associazione tra persone accomunate da una
medesima finalità politica”? Un
partito, in Italia, può anche essere l'espressione di una persona
che si ritiene in grado di cambiare tutto, di fare tutto da solo. Al
limite, se qualcuno vuole, si può accodare alle sue idee e votarlo
alle prossime elezioni.
Grazie
al partito-persona, è possibile calarsi dall'alto anziché partire
dal basso. Né è un esempio il nuovo movimento “rivoluzione civile
INGROIA”, ma sono molti gli altri esempi di questa modalità di
fare partito. Chi non ricorda le liste Sgarbi, e non è forse in
questo filone il “movimento 5 stelle GRILLO”?
Il
Sindaco di Volpedo, Caldone, è andato su tutte le furie quando ha
scoperto che Ingroia, come simbolo per il suo nuovo partito, ha
scelto il “quarto stato” del suo concittadino Pelizza. Al di là
dell'uso proprio o improprio, mai simbolo è stato meno azzeccato.
Il famoso quadro di Pelizza rappresenta una massa di contadini che
marcia per rivendicare diritti: è un simbolo, da sempre, delle lotte
socialiste. Che ci azzecca, per citare le parole di un altro che si è
fatto un partito, il quarto stato con Ingroia? Nulla.
Per
capire meglio la logica del partito-persona, consiglio la lettura del
mio precedente articolo “la sindrome del pallino rosso”...
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RispondiEliminaRicordiamoci, però anche e sempre a questo riguardo, che all'inizio del 2008 campeggiavano già gigantografie "pre-elettorali" di parlamentari in carica, eletti ne L'Ulivo dal 2006 col programma de L'Unione, e neo iscritti al neonato Partito Democratico. Ce n'era una del deputato Mario Lovelli, davanti allo stadio di Novi. Questi manifesti raccontavano già le divergenze e le difficoltà programmatiche che furono ufficializzate di lì a poco con la crisi del Governo, quando i parlamentari di Dini e Mastella passarono finalmente al voto conforme con le destre di opposizione.
RispondiEliminaQuelle divergenze programmatiche sono all'origine della distinzione tra il centrosinistra del 2013 egemonizzato dal Partito Democratico, che vuole governare il Paese migliorandolo senza stravolgere gli equilibri di potere costituiti, e i superstiti politici che si oppongono alle ricette neoliberiste e dissentono completamente da chi individua la necessità di smantellare o trasformare i diritti sociali (acquisiti dal movimento operaio italiano in più di un secolo di lotte), ambientali (incompatibili con la difesa del capitale inteso come origine dello sviluppo economico, e non come problema e causa di impoverimento delle risorse fisiche e materiali), civili (che fanno valere la libertà e l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, contro privilegi, sistemi pratiche di oppressione e sfruttamento delle persone e discriminazioni per razza, religione, orientamento sessuale).
Che questi superstiti politici e le parti di società civile che ne condividono le istanze, abbiano trovato nel magistrato Antonio Ingroia il feticcio lideristico a cui aggrapparsi, senza un confronto congressuale costitutivo adeguato, incamerando anche i parlamentari uscenti (prima associati ai vari Di Gregorio e Scilipoti), i sindaci e i capi partito in cerca di poltrone più comode, è un problema.
Che le critiche e le osservazioni arrivino da un centrosinistra a cui si è riaggregato il movimentosissimo Rutelli; che è stato capace di partorire politicamente Calearo; in cui si annoverano molte interruzioni di altri incarichi pubblici a favore di candidature parlamentari; che di fronte all'opinione e al dibattito pubblico non arriva a discutere dei problemi degli attacchi ai diritti che interessano a Rivoluzione Civile; e che, anzi, tende a denigrare qualunqusiticamente come un'ennesima formazione populista quella di chi solleva la discussione e porta l'attenzione a questi diritti, è un problema maggiore.